Futuralife ha il piacere di annunciare la collaborazione con Longevia Clinic, un partnerships che consideriamo particolarmente promettente. Longevia, clinic offre trattamenti all’avanguardia nel campo della longevità, e servizi di elevata qualità e innovazione.
Insieme, Futuralife si dedicherà allo sviluppo di nuovi integratori naturali, concepiti per supportare e potenziare le terapie offerte da Longevia. Questa collaborazione ci consente di unire competenze e expertise per promuovere la salute e il benessere a lungo termine.
Siamo entusiasti delle opportunità che questa partnership potrà offrire e dell’impatto positivo che potrà avere nel settore della longevità e della medicina preventiva. https://longevia.it/
LONGEVIA CLINIC / FUTURALIFE
16 maggio 2025

16 maggio 2025
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I mitocondri: la centrale di energia vitale delle nostre cellule
Dott. Serafino Fazio già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, specialista in medicina interna e cardiologia. Le nostre cellule, e di conseguenza il nostro intero organismo, dipendono dall’energia per funzionare correttamente. Questa energia viene prodotta all’interno dei mitocondri, organelli intracellulari fondamentali per la vita. La loro funzione è trasformare i nutrienti assunti con l’alimentazione in ATP (adenosina trifosfato) attraverso il ciclo di Krebs e il processo di fosforilazione ossidativa. Questo processo è essenziale per il corretto funzionamento di tutte le cellule, in particolare di quelle che richiedono elevate quantità di energia, come le cellule cerebrali e muscolari. Il declino mitocondriale e le sue conseguenze Con l’avanzare dell’età e l’insorgenza di malattie croniche, il numero di mitocondri e la loro efficienza tendono a diminuire. A questo si aggiunge il processo di aterotrombosi, che compromette la circolazione sanguigna e riduce l’apporto di ossigeno ai tessuti. Poiché l’ossigeno è un elemento cruciale per la produzione di energia cellulare, la sua carenza porta a una ridotta capacità funzionale degli organi, in particolare cervello e muscoli. Questa progressiva perdita di efficienza energetica si manifesta con affaticamento, declino cognitivo, ridotta resistenza fisica e una maggiore predisposizione a patologie croniche. Diventa quindi essenziale adottare strategie mirate per proteggere e sostenere la salute mitocondriale. Strategie per preservare la funzione mitocondriale Per contrastare il declino mitocondriale, è fondamentale intervenire precocemente, idealmente a partire dai 40 anni, attraverso una combinazione di buone pratiche di vita e integrazione di sostanze naturali mirate. Stile di vita e alimentazione: Attività fisica regolare per stimolare la biogenesi mitocondriale.Alimentazione equilibrata, ricca di antiossidanti e micronutrienti essenziali.Controllo dei fattori di rischio cardiovascolare per preservare il flusso di ossigeno agli organi. Integrazione di sostanze naturali efficaci: Recenti evidenze suggeriscono il ruolo chiave di alcune sostanze nella protezione e rigenerazione mitocondriale: Quercetina e Pirrolochinolina chinone (PQQ): favoriscono la biogenesi mitocondriale e il processo di mitofagia, proteggendo i mitocondri dallo stress ossidativo.L-arginina e Nattochinasi: contribuiscono alla protezione delle arterie, riducendo il rischio di aterotrombosi e migliorando il flusso di ossigeno ai tessuti. Un approccio preventivo per un invecchiamento in salute Proteggere la funzionalità mitocondriale e garantire un’adeguata ossigenazione degli organi rappresenta una strategia chiave per preservare il benessere nel tempo. La prevenzione, attraverso uno stile di vita corretto e l’integrazione di sostanze mirate, consente di mantenere alte le riserve energetiche dell’organismo, contrastando gli effetti dell’invecchiamento e delle patologie croniche. Investire nella salute mitocondriale significa investire nella qualità della vita. Un approccio consapevole e scientificamente fondato può fare la differenza nel mantenimento di una buona efficienza fisica e cognitiva nel corso degli anni.
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PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE
Ruolo degli integratori naturali nell’attivazione dei meccanismi di difesa vascolare. Dott. Serafino Fazio È assolutamente importante, per rallentare l'invecchiamento ed invecchiare in buona salute, mantenere il nostro sistema vascolare in buona salute. Questo perché le nostre arterie portano ai nostri organi il sangue con l’ossigeno (O₂) e i nutrienti necessari per il loro corretto funzionamento. La patologia che più frequentemente determina danno alle nostre arterie è l’aterosclerosi. Influenza della aterosclerosi sull’apporto di O₂ e nutrienti ai nostri organiUn sistema vascolare in buone condizioni è essenziale per il corretto funzionamento dei nostri organi e, ovviamente, del nostro intero organismo. Questo perché il sistema vascolare è il conduttore del sangue con i nutrienti e, soprattutto, l'ossigeno per la sopravvivenza e il corretto funzionamento delle cellule dei vari organi. In particolare, ci sono i cosiddetti organi nobili, come il cervello e il cuore, che richiedono più energia e quindi maggiori quantità di ossigeno per il corretto funzionamento. Alla base del deterioramento del nostro sistema vascolare c'è principalmente l'aterosclerosi, una malattia degenerativa progressiva che inizia in giovane età e presenta manifestazioni cliniche, per lo più, in età adulta. L'aterosclerosi è una condizione patologica caratterizzata da alterazioni della parete delle arterie, che perdono la loro elasticità a causa dell'accumulo di colesterolo, calcio, cellule infiammatorie, materiale fibrotico, con la formazione di placche stenosanti [1]. Una volta instaurata, l'aterosclerosi appare essere un processo irreversibile e in continua evoluzione. Uno stile di vita adeguato e trattamenti volti al controllo dei comuni fattori di rischio cardiovascolare (inattività fisica, insulino-resistenza, prediabete, diabete, ipertensione, fumo di sigaretta, dislipidemia) possono prevenire la formazione di placche o, quantomeno, rallentare il progressivo peggioramento dell'aterosclerosi. Essa è inoltre comunemente associata all'invecchiamento delle arterie, tuttavia la presenza di una storia familiare di sviluppo di aterosclerosi e la presenza di uno o più fattori di rischio possono facilitarne l'insorgenza e peggiorarne l'evoluzione [1]. L'infiammazione cronica presente nelle arterie a livello della placca aterosclerotica provoca disfunzione endoteliale e attivazione di fenomeni di coagulazione con formazione di fibrina e trombi [1]. Finché i processi di fibrinolisi/trombolisi sono efficaci e i trombi non sono ingombranti, il nostro organismo è in grado di dissolverli così rapidamente da non creare danno ischemico, ma quando i fenomeni trombotici aumentano e il processo di fibrinolisi/trombolisi diventa meno efficace, in particolare con l'invecchiamento, si verifica una trombosi significativa con danno ischemico a valle dell'arteria trombizzata [2,3]. Esiste un'ampia letteratura scientifica sia sperimentale che clinica che dimostra come la disfunzione endoteliale si riscontri non solo durante stati patologici come l'aterosclerosi, ma anche nel normale processo di invecchiamento. Pertanto, l'invecchiamento è un fattore indipendente in grado di causare alterazioni dell'endotelio vascolare e fenomeni trombotici. L-arginina e prevenzione dell'aterosclerosiL'ossido nitrico (NO) prodotto dalle cellule endoteliali, oltre alle sue note proprietà vasodilatatorie, possiede anche proprietà antinfiammatorie locali, limitando l'espressione delle molecole di adesione; per questo motivo è attualmente considerato un fattore protettivo contro l'aterosclerosi [4,5]Si suggerisce spesso che un'alterazione della sintesi di NO da L-arginina e/o un'aumentataproduzione di fattori di contrazione vascolare svolgono un ruolo rilevante nell'aggravamento delle lesioni endoteliali e parietali, influenzando negativamente la storia naturale del processo patologico. Inoltre, l'NO inibisce la formazione di trombi [6, 7]. Sarebbe quindi importante mantenere costanti i livelli di NO per tutta la vita mediante la somministrazione di sostanze che ne siano precursori. Come già accennato, sia l'età che le patologie a carico dell'endotelio vascolare stimolano la formazione di trombi e determinano nel tempo ostruzioni vascolari, compromettendo la circolazione sanguigna in vari organi, portando a un deterioramento acuto o progressivo della loro funzione. Nel soggetto normale esiste sempre un certo equilibrio tra formazione di trombi e fibrinolisi/trombolisi. Purtroppo, questa omeostasi si altera con l'età, sia perché i fenomeni trombotici si accentuano sia perché i sistemi di fibrinolisi e/o trombolisi diventano progressivamente meno efficaci [3]. Inoltre, con l'avanzare dell'età, possono svilupparsi malattie protrombotiche croniche, con la formazione di quantità eccessive di trombi o di trombi più resistenti, che i nostri sistemi trombolitici non sono in grado di dissolvere prima che si verifichi un danno d'organo. Come è noto, i trombi sono formati principalmente da fibrina, contenenti piastrine, globuli rossi e bianchi, e si formano per coagulazione del sangue all'interno di un sistema cardiovascolare ininterrotto, il che li distingue dai coaguli che invece si formano al di fuori del sistema cardiovascolare quando questo presenta interruzioni, come nelle ferite. La fibrina svolge un ruolo importante nella formazione dei trombi. Esistono tuttavia farmaci e sostanze naturali che possono aiutarci a prevenire o riequilibrare queste alterazioni a livello vascolare, proteggendoci dai fenomeni trombotici. La L-arginina è un amminoacido che viene convertito a livello vascolare dalla NO sintetasi in citrullina e successivamente in NO (Figure 2, 3). È stato dimostrato che possiede numerosi effetti benefici per l'organismo umano [8]. Una delle azioni più importanti della L-arginina è il mantenimento dell'omeostasi vascolare attraverso la sintesi di NO, un potente vasodilatatore che svolge una funzione protettiva contro lo sviluppo dell'aterosclerosi. È noto che una ridotta disponibilità di NO porta allo sviluppo di disfunzione endoteliale che, a sua volta, svolge un ruolo rilevante nello sviluppo di malattie cardiovascolari [4, 5]. È stato verificato che, dopo la somministrazione di 0,9 g di L-arginina, la vasodilatazione endotelio-dipendente, valutata mediante valutazione del flusso cutaneo con Laser Doppler, risultava significativamente aumentata [9]. Inoltre, sembra che l'aumentata ingestione di questo aminoacido determini un miglioramento delle alterazioni della reattività vascolare e riduca lo spessore intimale nell'aterosclerosi e possa inoltre ridurre la pressione arteriosa e l'eccessiva proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari nell'ipertensione [10]. L'iperinsulinemia associata a insulino-resistenza facilita lo sviluppo dell'aterosclerosi sia per una riduzione della produzione di NO a livello vascolare, sia per la sua azione come fattore di crescita a livello delle cellule muscolari lisce vascolari e delle cellule endoteliali, determinando, nel tempo, disfunzione endoteliale, rigidità vascolare e aterosclerosi [11]. La somministrazione di L-arginina può contrastare lo sviluppo di questi eventi patologici sia stimolando la formazione di NO sia riducendo l'insulino-resistenza. L'azione positiva della L-arginina a livello endoteliale determina un aumento della produzione di NO da parte della sintetasi endoteliale e una riduzione della resistenza insulinica a livello delle cellule endoteliali. Inoltre, è stato anche dimostrato che un potenziale meccanismo responsabile dell'effetto favorevole della supplementazione di L-arginina sulla resistenza insulinica potrebbe essere dovuto all'aumento delle concentrazioni di adiponectina. Infatti, è stato osservato che la L-arginina è uno stimolo efficace per il rilascio di adiponectina. L'adiponectina è un ormone prodotto dal tessuto adiposo che produce effetti di sensibilizzazione all'insulina attraverso il legame ai suoi recettori, determinando l'attivazione di diverse vie, note (AMPK e PPAR-α) e altre ancora sconosciute, che migliorano la sensibilità all'insulina. Nell'insulino-resistenza, sia l'adiponectina che i suoi recettori sono "down" regolati. Pertanto, una terapia che determini una "up" regolazione dell'adiponectina e dei suoi recettori, ovvero l'aumento della funzionalità dei recettori dell'adiponectina, può essere una buona opzione per il trattamento dell'insulino-resistenza [12, 13]. Un'assunzione costante di sostanze che aiutano a mantenere costanti i livelli di NO nel tempo, come la L-arginina, dovrebbe proteggere il nostro sistema vascolare rallentando il deterioramento dovuto all'invecchiamento e alle malattie, senza produrre particolari effetti collaterali. Nattochinasi e prevenzione dell'aterotrombosiLa nattochinasi (NK) è un enzima fibrinolitico derivato dal natto, un alimento ampiamente utilizzato nella cucina giapponese, ottenuto dalla fermentazione della soia con un batterio specifico, il Bacillus subtilis. Un elevato consumo di natto è stato collegato alla più lunga durata media della vita e al più basso tasso di mortalità per malattie cardiache nella popolazione giapponese [14]. La fibrina è un elemento fondamentale nella formazione dei trombi. Fisiologicamente, nel nostro corpo esiste un perfetto equilibrio tra la formazione di microtrombi e la loro distruzione, impedendo così il verificarsi di occlusioni vascolari di lunga durata. Purtroppo, tuttavia, in alcune situazioni, tra cui l'invecchiamento e molte malattie croniche, questo equilibriosi altera a favore di un aumento dei fenomeni trombotici piuttosto che di una carenza di processi trombolitici, così che in età avanzata siamo più inclini a formare trombi, che possono causare occlusioni vascolari in organi importanti e causare, ad esempio, infarti e ictus cerebrali. Molti studidimostrano che la NK aiuta a sciogliere i coaguli di sangue, facilitando il mantenimento di una buona struttura dei vasi sanguigni, migliorando il flusso sanguigno e riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Può anche contribuire ad abbassare la pressione sanguigna, riducendo lo sforzo sui vasi cardiaci, cerebrali e renali, che può portare a danni significativi nel tempo [15]. Sono stati condotti numerosi studi per valutare gli effetti trombolitici della NK in vitro e su modelli animali [16–21]. L'inibitore dell'attivatore del plasminogeno1 (PAI-1) è il principale inibitore dell'antigene polipeptidico tissutale (tPA) e regola l'attività fibrinolitica nella cascata fibrinolitica [22]. In uno studio che ha indagato il meccanismo con cui la NK esercitava il suo effetto fibrinolitico, si è visto che essa aumentava la fibrinolisi attraverso la scissione e l'inattivazione del PAI-1 [21]. L'aumento dell'attività fibrinolitica, osservato in assenza di PAI-1, sembrava essere indotto dalla dissoluzione diretta della fibrina da parte della NK [23, 24]. La NK ha anche aumentato la produzione di agenti che dissolvono il coagulo, come l'urochinasi, attraverso la conversione della pro-urochinasi in urochinasi [25, 26]. Inoltre, è stato dimostrato che la NK è in grado di bloccare la formazione di trombossano con conseguente inibizione dell'aggregazione piastrinica senza produrre l'effetto collaterale del sanguinamento [27].Pertanto, la NK si e rivelata un potente agente antitrombotico che, oltre a ridurre la formazione di trombi, è anche in grado di rallentare la progressione della formazione di placche e invertire l'evoluzione delle lesioni aterosclerotiche [28]. Anche i dati provenienti da studi sull'uomo supportano fortemente la NK come un agente fibrinolitico potente e promettente. In un primo studio sull'uomo, la somministrazione orale di NK ha dimostrato di produrre un graduale aumento dell'attività fibrinolitica nel plasma, come indicato dal tempo di lisi dell'euglobina (ELT plasmatico) e dalla produzione di antigene polipeptidico tissutale (tPA). Dopo la somministrazione di natto (100 mg/kg) a volontari adulti sani, l'ELT si è ridotto e l'attività del tPA è aumentata significativamente (P < 0,05) [29, 30]. In uno studio clinico in aperto e autocontrollato, Hsia e collaboratori, dopo due mesi di somministrazione di NK nell'uomo per via orale, hanno riscontrato una significativa riduzione dei livelli di fibrinogeno, fattore VII e fattore VIII, il che implica un promettente beneficio cardiovascolare derivante dalla somministrazione di NK. Anche dopo una singola dose orale di NK a 2000 FU, i livelli di prodotti di degradazione della fibrina/fibrinogeno nel sangue sono aumentati significativamente 4 ore dopo la somministrazione di NK (P < 0,05), confermando il miglioramento dei profili di trombolisi e anticoagulazione. I risultati di questo studio supportano l'utilizzo di NK come utile agente fibrinolitico/anticoagulante per ridurre il rischio di trombosi e malattie cardiovascolari nell'uomo. [31]. Dott. Serafino Fazio già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, specialista in medicina interna e cardiologia
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UN FRENO ALL'INVECCHIAMENTO
Serafino Fazio già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, specialista in medicina interna e cardiologia; Valeria Fazio • Cardiologia Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli (NA); Flora Affuso Geriatra ricercatrice indipendente, Napoli @MEDICINAINTEGRATA Deputati alla produzione di energia, i mitocondri sono organuli importanti per l’organismo. Il loro declino favorisce la senescenza e lo sviluppo di malattie ad esso correlate. Assumere particolari sostanze naturali può aiutare a rallentare la corsa delle lancette biologiche. I mitocondri sono organuli cellulari deputati alla produzione di energia sotto forma di adenosina trofosfato (ATP), delegati allo svolgimento delle funzioni cellulari delle cellule in cui essi sono contenuti e alla loro sopravvivenza. Pertanto, sono estremamente importanti per il corretto funzionamento del nostro organismo. Per fare un esempio molto semplice, basti pensare che le cellule che hanno bisogno di grosse quantità di energia per funzionare bene ovvero le cellule muscolari e quelle cerebrali sono le prime a risentirne se i mitocondri non funzionano correttamente. Un declino nella qualità, nel numero e nella attività dei mitocondri è stato associato al normale invecchiamento, ma anche correlato con lo sviluppo di un ampio range di malattie croniche correlate con l’età (1). LE FUNZIONI I mitocondri sono gli unici organuli delle cellule umane a possedere un proprio DNA (mtDNA). Esiste una vasta letteratura scientifica che dimostra come la disfunzione mitocondriale sia associata all’invecchiamento delle cellule e dell’organismo (2) e a numerose patologie come il cancro, le malattie metaboliche (3), in particolare il diabete (4), e quelle neurodegenerative (5). È noto che, con l’invecchiamento dell’organismo, i suoi mitocondri diventano progressivamente meno numerosi ed efficienti. Questo, già da solo, potrebbe spiegare il deterioramento delle funzioni di molti organi con l’avanzare dell’età, la riduzione della forza muscolare, il, spesso, facile affaticamento e la comparsa progressiva di perdita di memoria e deficit cognitivi, fino a una vera e propria demenza. Proteggere, dunque, i mitocondri e migliorare la loro funzione può determinare un aumento della produzione di energia e, quindi, un miglioramento della salute fisica e mentale. I RADICALI LIBERI All’interno dei mitocondri vi è una eleva- ta produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), e questo rende il mtDNA particolarmente esposto al danno ossidativo (6). Con l’invecchiamento, questi danni possono persistere e accumularsi nel tempo (7, 8). Viene ipotizzato che l’invecchiamento e le malattie degenerative possano dipendere proprio dal progressivo accumulo di mutazioni deleterie a livello del mtDNA prodotte nel tempo dai ROS (9). QUERCETINA: UN POTENTE ANTI-OSSIDANTE La quercetina è un principio attivo naturale che appartiene alla famiglia dei flavonoidi. Si tratta di un importante insieme di pigmenti vegetali la cui struttura chimica è derivata da quella del flavone e a cui appartengono antociani, flavoni e altri pigmenti. Comprendono antociani, flavoni e altri pigmenti e nel mondo vegetale, il loro ruolo è determinante e cruciale per proteggere al meglio le piante dai vari e costanti attacchi di virus, batteri, funghi e dai raggi UV. La quercetina si ritrova nella frutta e nella verdura: fonti alimentari particolarmente ricche di quercetina sono, per esempio, le cipolle, il radicchio, i broccoli, il sedano, i capperi, le mele, l’uva rossa, i frutti di bosco, gli agrumi e anche alcune bevande come il vino rosso e il tè verde. Alla luce degli studi finora effettuati, si ritiene siano un’ottima fonte di sostanze antiossidanti e antiinvecchiamento, capaci di contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi (18). In più, la quercetina è classificata come agente senolitico dal momento che è in grado di proteggere, anche in modo significativo, le cellule dall’invecchiamento (19). I meccanismi con cui la quercetina determina ciò sono molteplici, diversi, e non del tutto ancora conosciuti, è noto tuttavia che essa è un potente antiossidante, ha proprietà antinfiammatorie e riduce l’insulino-resistenza, un fattore predisponente all’invecchiamento cellulare (20). La sirtuina 1 (SIRT1) promuove la funzione mitocon driale e regola l’omeostasi mitocondriale. Gli studi hanno indicato che la sovraespres- sione di SIRT1 può inibire efficacemente la morte cellulare, promuovere la sopravvivenza cellulare e prolungare la durata della vita delle cellule (21). AGIRE IN ANTICIPO I risultati ottenuti dalla terapia delle demenze già in fase sintomatica sono piuttosto insoddisfacenti. Pertanto, bisognerebbe intervenire prima, in prevenzione, proteggendo i mitocondri (le nostre centrali di energia) dai danni ossidativi che si accumulano negli anni, poiché sono associati all’invecchiamento e allo sviluppo di malattie croniche degenerative. La quercetina e la PCC sono sostanze naturali che hanno dimostrato di poter fare questo e di proteggere gli organi più sensibili, con maggiore fabbisogno energetico, dai danni collegati al trascorrere degli anni. I MITOCONDRI SONO ORGANULI CELLULARI DEPUTATI ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA SOTTO FORMA DI ADENOSINA TROFOSFATO (ATP), DELEGATI ALLO SVOLGIMENTO DELLE FUNZIONI CELLULARI DELLE CELLULE IN CUI ESSI SONO CONTENUTI E ALLA LORO SOPRAVVIVENZA STIMOLARE NUOVA ENERGIA Quando si parla di biogenesi mitocondriale ci si riferisce a un processo che consiste nella formazione di nuove componenti mitocondriali e di nuovi mitocondri a partire da quelli già esistenti, rimuovendo quelli danneggiati (azione, quest’ultima, chiamata mitofagia) (10). Un’insufficiente azione di mitofagia determina l’accumulo di strutture e molecole mitocondriali danneggiate che sono prodromiche allo sviluppo di senescenza e malattie degenerative, oltre al declino della funzione degli organi e della durata della salute. È necessario, quindi, aumentare il numero dei mitocondri stimolando la biogenesi di nuovi mitocondri e avere la possibilità di poter intervenire sulla mitofagia per la rimozione delle sostanze mitocondriali danneggiate. A parte un’attività fisica moderata e costante e una dieta appropriata, per stimolare la biogenesi mitocondriale esiste la possibilità di assumere costantemente sostanze naturali come i polifenoli (11), di cui la quercetina contenuta particolarmente nelle mele, nei capperi, nelle cipolle e in molti integratori (12) - è un rappresentante molto diffuso in natura. Esistono molte altre sostanze naturali che sono supportate nella loro azione di stimolo alla biogenesi mitocondriale da una buona letteratura scientifica. Tra questi, abbiamo scelto la pirrolochinolina chinone per i risultati particolarmente interessanti e la buona disponibilità in natura (13-16). Infatti, di norma è contenuta in natura prevalentemente in frutti come papaya e kiwi, tè, verdure, latte (in particolare in quello materno) ma in maggiore concentrazione all’interno del “natto”, alimento tipico giapponese a base di fagioli di soia fermentati (17). EFFETTI NEUROPROTETTIVI La disfunzione mitocondriale è considerata come il principale fattore causale della patogenesi dell’AD correlata all’invecchiamento (22) poiché può causare danni ai neuroni, alla microglia e agli astrociti (23). La quercetina esercita effetti neuroprotettivi contro l’AD cronica prendendo di mira SIRT1 per regolare la senescenza cellulare e molteplici processi cellulari legati all’invecchiamento, tra cui lo stress ossidativo mediato da SIRT1/Keap1/Nrf2/HO-1 e PI3K/Akt/GSK-3β, mediato da SIRT1/NF-κB risposta infiammatoria, danno mitocondriale mediato da SIRT1/PGC1α/eIF2α/ATF4/ CHOP e Autofagia mediata da SIRT1/FoxO (24). In generale, va aggiunto che, SIRT1 può fungere da promettente bersaglio terapeutico nel trattamento di tutte quelle malattie legate all’invecchiamento attraverso l’inibizione del cosidetto stress ossidativo, la riduzione delle risposte infiammatorie e il ripristino della disfunzione mitocondriale. Le cellule della microglia attivate sono un tipo molto importante di cellule immunitarie innate nel cervello che secernono citochine infiammatorie nell’ambiente ex- tracellulare, esercitano, così, neurotossicità sui neuroni circostanti e sono coinvolte nella patogenesi di molti disturbi cerebrali. La quercetina previene il danno neuronale attraverso l’inibizione dell’attivazione dell’inflammasoma NLRP3 mediata da mtROS nella microglia attraverso la promozione della mitofagia, che fornisce una potenziale e interessante nuova strategia terapeutica per tutte quelle malattie legate alla neuroinfiammazione (25). AIUTO (anche) DALL'INTERNO La pirrolochinolina chinone (PCC) è un ortochinone eterociclico aromatico, è stata scoperta nel 1964 dal biochimico norvegese Jense G. Hauge nei batteri sebbene solo nel 2003 il gruppo di lavoro coordinato dal neuroscienziato giapponese Tadafumi Kato scoprì come questa sostanza fosse presente anche nell’uomo. Essa è fisiologicamente contenuta nei mitocondri in prossimità del sito di formazione dei radicali liberi, dove è in grado di intercettarli e inattivarli. Recenti studi hanno dimostrato che proprio a livello mitocondriale sarebbe in grado di svolgere le sue principali funzioni: migliorare i processi energetici cellulari e attivare importanti meccanismi di riparazione del DNA mitocondriale (26, 27). Per tali motivi, la maggior parte degli scienziati che si occupa intensamente di questi argomenti intravede per questa molecola un’indicazione nella medicina preventiva e anti-invecchiamento. GLI STUDI Esiste una vasta letteratura scientifica, sia sperimentale che clinica, a supporto del fatto che la PCC ha effetti protettivi nei confronti delle malattie neurodegenerative. Uno studio del 2009, per esempio, concludeva che la formazione delle fibrille della proteina prione del topo veniva drammaticamente prevenuta in presenza di PCC, così come veniva anche ridotta la formazione di fibrille di β-amiloide (28). Uno studio più recente di tipo clinico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo è stato effettuato su un totale di 62 soggetti, divisi in due gruppi di 31. A uno è stata somministrata la PCC a 20 mg al giorno per via ora- le per 12 settimane e all’altro, per lo stesso periodo di tempo, è stato somministrato il placebo. Inoltre, i soggetti trattati sono sta- ti divisi in due sottogruppi di età differenti (52,9±6,6 vs 28,8±6,7) a cui è stata effettua- ta un’analisi della funzione cognitiva completa mediante il Cognitrax. I risultati, quindi, hanno dimostrato che la PCC migliora le funzioni cognitive della flessibilità cognitiva e della velocità esecutiva, già entro otto settimane nei soggetti più giovani, mentre le funzioni cognitive della memoria composita e verbale erano migliorate dopo ben 12 settimane di trattamento solo nel gruppo di soggetti più anziani (29). Un altro studio clinico randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco è stato condotto in 41 soggetti anziani sani. L’obiettivo era esaminare l’effetto della PCC sulle funzioni cognitive. Ai soggetti in studio è stata somministrata PCC alla dose di 20 mg al giorno per 12 settimane o placebo. TEST STROOP Per la valutazione delle funzioni cognitive è stato effettuato un test Stroop e un test Stroop inverso, mentre per la valutazione della funzione cognitiva visuale-spaziale è stato usato un Touch M test mediante laptop/tablet. I risultati di questo studio suggeriscono che la PCC può prevenire la riduzione della funzione cerebrale negli anziani, soprattutto nell’attenzione e nella memoria di lavoro (30). Inoltre, un esperimento preliminare effettuato utilizzando la spettroscopia del vicino infrarosso suggerisce che il flusso sanguigno cerebrale nella corteccia prefrontale è stato aumentato dalla somministrazione di PQQ (30). Un ulteriore studio, molto recente, ha valutato l’impatto del trattamento per sei settimane con PCC sui “bio- markers” mitocondriali, sul metabolismo cerebrale e sui processi cognitivi in 34 soggetti anziani con lieve deficit cognitivo. Anche in questo caso si è trattato di uno studio effettuato con un disegno a gruppi paralleli, randomizzato, doppio cieco e controllato con placebo. I risultati, anche qui, hanno mostrato nei soggetti trattati con PCC un aumento del fattore neurotrofico sierico di derivazione cerebrale, un miglioramento delle funzioni cognitive e un significativoe importante incremento della saturazione della ossigenazione cerebrale (31).
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PERCHE' SIAMO SEMPRE STANCHI?
Gemma Argento Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso reale dello stress. Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato il meccanismo di enterocezione: quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci stiamo adattando al mondo Il troppo sport, il troppo lavoro, il troppo stress. Passiamo spesso le giornate a cercare una motivazione valida per la perenne stanchezza che avvertiamo. In molti casi il sospetto di carenze nell’organismo ci conducono dritto nello studio del medico, che indaga, a volte con non poca fatica, le reali motivazioni di un senso di stanchezza che stenta a scomparire. Le ultime indagini della scienza sul tema aprono ora nuovi meccanismi di causa ed effetto che riconducono la stanchezza a ragioni più complesse dell’eccessivo dispendio di energie. Un problema di molti Secondo una recente analisi dei dati provenienti da 32 paesi, ben 1 su 5 adulti sani si lamenta di livelli di affaticamento problematici. Sentirsi stanchi tutto il tempo è uno dei motivi più comuni per cercare assistenza medica, tanto che in gergo il sintomo ha meritato anche un acronimo TATT, che in inglese sta per tired all the time. Per questo gli scienziati hanno scelto di indagare ancora meglio sulle possibili ragioni dietro la stanchezza perenne. Cosa vuol dire avere energia? Fino a poco tempo fa la ricerca medica aveva dato poco spazio alla determinazione di ciò che dal punto di vista dell’organismo significhi avere energia. Un vuoto accademico che soprattutto l’industria alimentare e del benessere ha tentato di riempire in tutti i modi tra beveroni energetici, integratori e snack proteici, mettendo in piedi un giro d’affari milionario. Ora gli studiosi stanno dando una nuova visione su ciò che significa sentirsi energici: la ricerca sta rivelando che il modo in cui percepiamo lo stato di stanchezza dipende in gran parte dalla valutazione del cervello su quanta energia in quel preciso momento sia disponibile per le nostre cellule. La sensazione di affaticarsi e di correre a vuoti dipende quindi non sempre dal reale apporto energetico a disposizione del nostro corpo in quel momento. L’enterocezione: che cos’è e cosa c’entra con la stanchezza? Si chiama enterocezione il modo in cui il nostro cervello interpreta i segnali che arrivano dall’interno del corpo. Un po’ come una specie di nostro sesto senso, è la capacità di rivelare i cambiamenti corporei: dal battito cardiaco al cambiamento delle concentrazioni di alcuni ormoni nel sangue, fino all’espressione psicologica di sentimenti ed emozioni. Integrate al cervello, queste sensazioni corporee arrivano nel nostro stato mentale e di comportamento, conquistando una notevole voce in capitolo su pensieri ed emozioni. Tra le più importanti caratteristiche dell’enterocezione c’è la capacità di avverarsi in maniera del tutto inconsapevole rispetto alla nostra percezione. «La ragione per cui generalmente non siamo cognitivi di questo sistema di mantenimento della vita è perché i messaggi inintercettivi sono al di sotto del radar della consapevolezza cosciente per la maggior parte del tempo», spiega Hugo Critchley, neuroscienziato presso l’Università del Sussex, Regno Unito. Eppure, anche quando vengono rilevati a livello inconscio, i segnali avvertiti possono influenzare il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci comportiamo. Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato proprio il meccanismo di enterocezione, e quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci stiamo adattando al mondo. Nel costante dialogo corpo-cervello si tratta quindi di capire da dove provenga il segnale per risparmiare energia. A questo fine sarà allora fondamentale prendere in considerazione l’attività dei mitocondri, le centrali energetiche dell’organismo. Al loro interno avvengono quei processi biochimici, come la respirazione mitocondriale, che forniscono alle cellule l’energia di cui hanno bisogno per tutte le loro funzioni vitali. Quando i mitocondri non lavorano in modo efficiente, le persone si sentono letargiche e stanche. La stanchezza perenne è dunque sempre colpa di mitocondri “spenti”? La più grande perdita di energia mitocondriale registrata dagli scienziati si verifica proprio in caso di eccessivo “carburante” per l’organismo. L’energia solitamente viene rilasciata gradualmente nei mitocondri, in una serie di piccoli passaggi biochimici che non possono essere affrettati e devono accadere in un certo ordine per evitare di causare un blocco metabolico. Nel caso arrivi troppo carburante e nello stesso momento, i mitocondri avranno bisogno di prendersi una pausa dal rilasciare energia, in modo che le cellule poi siano in grado di concentrarsi sulla quantità in eccesso. Questo meccanismo ci lascia, almeno a breve termine, con più senso di stanchezza e lentezza, che non corrisponderà a un’effettiva scarsità di forze. Il processo di enterocezione, e quindi l’avvertimento di questo processo da parte del cervello, ci porterà a un senso di fiacchezza e di minore capacità percepita delle nostre cellule di produrre energia. Per questa stessa ragione i regimi alimentari ad alto contenuto di zuccheri sono particolarmente problematici, favoriscono infatti l’inefficienza dei mitocondri e rendono le persone più pigre e lunatiche, piuttosto che più energiche. Lo stesso meccanismo accade con lo stress Poi c’è lo stress, fisico ed emotivo: secondo uno studio di Martin Picard della Columbia University di New York e del suo gruppo di lavoro, lo stress aumenta del 60% la velocità con cui le cellule bruciano energia. Questo è in parte dovuto al fatto che i mitocondri, che producono anche cortisolo, ormone dello stress capace di inviare come una specie di segnale di autorizzazione che avverte: il corpo non ha energia necessaria per affrontare una sfida in arrivo. Lo stress non è solo un drenante e quindi un indebolitore dei mitocondri, ma anche un elemento centrale nel famoso dialogo tra corpo e cervello. Lisa Feldman Barrett, neuroscienziata della Northeastern University in Massachusetts spiega: «L’idea è che il cervello funzioni generando una “migliore ipotesi” su ciò che sta accadendo nel corpo, adattandosi se necessario sulla base di informazioni sensoriali in arrivo. Quando la previsione e le prove non corrispondono, il segnale “error” risultante viene vissuto come una sensazione, che sia buona, cattiva, piena di energia o di senso di stanchezza». La percezione della fatica non segue l’effettivo apporto energetico del corpo È importante sottolineare quindi che la valutazione del cervello sullo stato del nostro organismo quindi potrebbe spiegare perché è perfettamente possibile dormire bene e sentirsi ancora esausto al pensiero di una lunga giornata di riunioni avanti. E ancora, è in grado di rivelare anche perché una buona notizia inaspettata può tradursi in una spinta energetica istantanea: anche in questo caso, lo stato energetico del corpo non è cambiato, ma la previsione del cervello sulla forza con cui poter lavorare ha trasformato la situazione. Ecco perché anche soltanto invecchiare ci fa percepire esausti Il fatto che ci siano così tanti input nella valutazione dell’energia corpo-cervello (alcuni fisici, alcuni psicologici e molti che operano inconsciamente), rende difficile la misurazione oggettiva di una condizione di stanchezza o di forza. Nonostante questo esistono diversi biomarcatori candidati che possono indicare le sensazioni oggettive di vitalità o stanchezza. Uno fra tutti la crescita di GDF 15, una molecola che le cellule rilasciano quando sono sotto stress. Secondo Stephen O’Rahilly dell’Università di Cambridge, in risposta a infezioni, lesioni e stress psicosociale, GDF15 sembra funzionare come un segnale di soccorso per informare il cervello che ha bisogno di risparmiare energia. Un’altra linea di prove mostra che GDF15 potrebbe anche spiegare perché anche soltanto invecchiare sembra renderci più stanchi. GDF15 è un indicatore affidabile dell’invecchiamento, con livelli nel sangue che aumentano fino al 25% con il passare di ogni decennio. Picard sospetta che anche questo sia frutto dell’interocezione, della valutazione psicologica del nostro bilancio energetico. In un recente articolo, sostiene che molti dei sintomi dell’invecchiamento, tra cui l’affaticamento, sono dovuti a cellule che accumulano danni e lottano per tenere il passo con i costi energetici delle riparazioni. Mentre quindi si accumulano i detriti, le cellule inviano segnali di soccorso al cervello che risponde risparmiando energia laddove possibile. «GDF15 a quel punto suggerisce al nostro cervello di dover tagliare i costi, ridurre i muscoli, suggerisce di essere un po’ meno entusiasti, ingrigirsi i capelli», spiega Picard. «Tutte queste cose sono modi per risparmiare energia». Lo studio di Picard si è concentrato infine sulle relazioni tra stress e capelli grigi. I periodi di particolare pressione potrebbero essere collegati al dialogo corpo-cervello che devia temporaneamente l’energia che normalmente spenderebbe sul pigmento dei capelli a qualcosa di più importante. Una volta passato lo stress, esistono possibilità che il colore ritorni. «Naturalmente, questo non significa necessariamente che il grigio sia opzionale, ad un certo punto, le sfide dell’invecchiamento probabilmente lo rendono inevitabile per coloro che hanno la fortuna di vivere così a lungo. Ma suggerisce che il tasso di invecchiamento può essere più malleabile di quanto pensiamo». Come agire sulla percezione della fatica (e sentirsi meno stanchi) Alla luce delle nuove intuizioni della scienza, le scelte e le abitudini quotidiane possono avere un ruolo nel modo di percepire vitalità o fiacchezza. Una delle pratiche è quella che Elissa Epel dell’Università della California, San Francisco, definisce «profondo riposo». Epel suggerisce che pratiche come meditazione e preghiera sono in grado di migliorare il benessere e di calmare la mente riducendo il bisogno percepito di accovacciarsi e risparmiare energia. Anche la dieta e l’esercizio fisico svolgono un ruolo importante nel nostro budget energetico. Gli snack zuccherati hanno dimostrato di far danni all’umore e ai livelli di energia, così come spiegato nel caso dei mitocondri. Mentre brevi periodi di attività fisica sono in grado di provocare il contrario. L’esercizio fisico in particolare costringe il corpo ad aumentare la produzione di energia cancellando i mitocondri inefficienti e sostituendoli con quelli freschi che funzionano meglio. «Non dimentichiamo infine che le persone che ci circondano influiscono sui livelli di energia in un senso molto reale. Non importa quanto tu abbia nel tuo piatto, se di tanto in tanto non rispetti una corretta alimentazione o non segui OUP Nature PMC il piano di attività fisica, è bene sapere che i nostri corpi e cervelli sono cablati in modo che, nella giusta compagnia, si trovi abbastanza energia per vivere la giornata».
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